L’avvocato Marco Galdieri di Casa dei Diritti Sociali analizza la questione dei permessi di soggiorno che, nell’interesse dei minori migranti già residenti in Italia, consentono ai familiari dei minori di arrivare e permanere nel nostro Paese
Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con l’avvocato Marco Galdieri di Casa dei Diritti Sociali e oggi parliamo dei permessi di soggiorno per familiari di minori migranti che sono in Italia. Permessi per arrivare e permanere in Italia nell’interesse del minore. Sappiamo che in Italia ci sono migliaia di minori che arrivano da altri Paesi, generalmente subsahariani, della costa sud del Mediterraneo o dall’Afghanistan, mandati dalle loro famiglie come investimento. Arrivano in Italia dopo un viaggio molto pericoloso, attraversando paesi in guerra o comunque in subbuglio, con l’obiettivo di ricongiungersi con parenti o amici di famiglia e di lavorare per mandare dei soldi a casa.
Sappiamo che questi minori quando arrivano in Italia vengono presi in carico dal sistema di accoglienza, ma sappiamo anche che molti di loro scompaiono in prossimità del loro diciottesimo anno. Una volta che diventano maggiorenni, infatti, possono essere espulsi. In Italia c’è una normativa protettiva fino ai 18 anni, vengono inseriti in percorsi scolastici, di assistenza sanitaria, di residenza assistita e di insegnamento della lingua italiana, ma quando compiono 18 anni possono essere espulsi dal paese. Questa è una delle grandi contraddizioni del sistema di accoglienza del nostro paese. C’è un investimento sul minore, ma poi quando questo diventa maggiorenne lo Stato italiano, che su di lui ha investito delle risorse, se ne vorrebbe liberare. Possono essere espulsi dal paese perché non in regola con le norme di permesso di soggiorno.
I permessi di soggiorno per familiari dei minori migranti presenti in Italia possono rappresentare un’alternativa a questo tragico esito. Per questo vogliamo capire quali sono le procedure, i problemi e l’evoluzione della normativa a riguardo.
Marco Galdieri (MG): In poche battute hai sollevato almeno quattro, cinque argomenti complessi e sicuramente molto importanti come ad esempio la questione del passaggio del minore alla maggiore età che come facevi notare è un passaggio spesso critico e in cui la vulnerabilità che si dà per acquisita sotto i 18 anni poi viene scemando in maniera un po’ brusca. Su questo sarebbe interessante fare una puntata apposita perché è uno scenario complesso e delicato, che ci porta a parlare di alcuni temi importanti.
In questo specifico intervento, invece, parliamo del cosiddetto ricorso all’articolo 31 terzo comma del Testo Unico dell’Immigrazione, ossia il decreto legislativo 286 del 1998 che, in particolare, riguarda il permesso di soggiorno rilasciato nei confronti di un familiare del minore nell’interesse del minore. Partiamo da ciò che prevede la norma per poi capire come è stato processualizzato e quali sono state le modifiche che la giurisprudenza ha apportato alla normativa.
Di fatto, la ragione della norma è quella di garantire la presenza di un familiare, di un prossimo congiunto di un minore che si trova sul territorio italiano. Viene garantita la inespellibilità del minore stesso, ma se c’è un parente all’interno del territorio – solitamente parliamo di un genitore, ma non è detto che sia per forza genitore – si può richiedere, ad alcune condizioni, che questo familiare possa permanere sul territorio nell’interesse del minore stesso. La norma prevede la
permanenza del parente, ma anche la possibilità di un ingresso, quindi in via astratta è possibile – a me sinceramente non è mai capitato – anche un ingresso del parente.
Non è tanto la minore età che dà il diritto al parente a permanere sul territorio, quanto una valutazione connessa allo sviluppo psicofisico del minore. Ad esempio, arriva una coppia di stranieri con un figlio minore al seguito che non è astrattamente espellibile, mentre i genitori lo sono. I genitori dovrebbero fare rientro nel paese di origine con il figlio minore, perché se il figlio minore non è espellibile, non è neanche detto che debba per forza rimanere sul territorio italiano. Quindi, i genitori potrebbero e dovrebbero ritornare nel paese di origine. Laddove ci sono alcune condizioni, come la possibilità che questo rientro possa in qualche modo pregiudicare lo sviluppo psicofisico del minore è possibile fare richiesta del permesso di soggiorno di cui stiamo parlando. Quindi, essenzialmente nasce come istituto legato a un concetto di malattia e, per alcuni versi, è più simile al permesso di soggiorno per cure mediche che non a un permesso di soggiorno di altro tipo. Questa è stata la genesi della norma, ma poi non è coerente con lo sviluppo, fortunatamente.
Perché fortunatamente si supera questa prima interpretazione abbastanza stringente, in cui fondamentalmente il permesso di soggiorno nell’interesse del minore per un parente, spesso e volentieri un genitore, veniva rilasciato laddove veniva esibita una documentazione medica attestante una difficoltà del minore, perché affetto da qualche patologia magari difficilmente curabile nel proprio paese, quindi riallacciandosi spesso alle cure mediche, con la differenza che il maggiorenne chiede il permesso per restare in prossimità del minore che sta in italia per curarsi.
Nel 2010 succede infatti che le sezioni unite della Corte di Cassazione vanno a dare un’interpretazione estensiva della norma. Vanno a ricomprendere in questa casistica nuove possibilità non solo fisiche, ma anche psicologiche. Quindi, rientrano nello sviluppo psicofisico del minore tutte quelle situazioni in cui il minore nato o arrivato in italia in tenera età e magari frequentante una scuola, con amicizie nel nostro territorio, si ritrovi o nella difficoltà di abbandonare il territorio perché i genitori non avrebbero titolo per poter restare oppure di vedersi privato di uno dei due genitori. Facciamo conto che la madre magari ha un permesso di soggiorno, mentre il padre non ce l’ha e non ci sono le condizioni minime per avere una coesione o un ricongiungimento familiare – cosa che può accadere perché magari l’immobile in cui e abitano i genitori non è abbastanza grande o perché non ci sono i redditi sufficienti -, a quel punto il minore si vedrebbe privato di una delle due figure genitoriali. Dopo la sentenza del 2010 anche questo tipo di aspetto deve essere valutato come un rischio di menomazione per la salute psicofisica del minore.
Sono molto d’accordo su questa interpretazione perché garantire il benessere di un minore non è soltanto farlo guarire da qualche patologia, ma può ricomprendere anche degli aspetti dello sviluppo psicofisico. E’ chiaro che se uno dei due genitori viene a “mancare”, nel senso che viene allontanato dal paese, o ancor peggio se entrambi i genitori devono lasciare il paese e quindi vanno a portare con sé il minore, che magari per 4-5 anni ha frequentato le scuole elementari e le attività sportive, ha degli amici e comunque si è integrato nello Stato, questo può pregiudicare la sua crescita. Questo anche perché viene vista non come una scelta condivisa, ma come come una imposizione autoritaria su cui lo stesso minore non può interagire, la subisce dall’inizio alla fine.
Questa più o meno è l’evoluzione più importante che c’è stata dalla nascita dell’istituto ad oggi, dopo che nel 2010 le sezioni unite sono intervenute e hanno ampliato il concetto di benessere psicofisico del minore, rispetto a quello su cui ci si era appoggiati precedentemente nelle pronunce del tribunale dei minorenni. La richiesta può essere fatta dai parenti, ma per l’80% dei casi sono dei genitori o anche dei nonni che o sono già presenti o vengono autorizzati a fare ingresso sul territorio italiano.
La procedura vuole che ci si rivolga in questo caso non passando per le prefetture o per le questure, ma direttamente al tribunale per i minorenni, il quale sovente può richiedere gli accertamenti da parte o di servizi sociali o tramite audizioni dei parenti che fanno la richiesta di questo tipo di permesso di soggiorno. E’ il tribunale per i minorenni che decide sulla base delle risultanze istruttorie che sono state ottenute se può essere rilasciato questo permesso nell’interesse del minore. Il permesso ha una durata determinata a seconda dell’età. Di solito viene rilasciato per un anno o se ci sono cure mediche specifiche, per la durata delle cure mediche specifiche. Può essere richiesto alla scadenza un nuovo permesso, sempre per il tramite del tribunale per i minorenni.
Consente di lavorare alle persone che hanno questo permesso e questa è un’altra conquista, non sempre scontata, altrimenti se questo non fosse consentito si andrebbe a foraggiare tutto il sommerso e la criminalità che ne potrebbe derivare. Questo dovrebbe essere un principio di civiltà abbastanza scontato, ma non sempre lo è, perché sappiamo che in alcuni casi non c’è la possibilità di lavorare. Ad esempio, per i richiedenti asilo non è immediata, ma è differita nel tempo (60 giorni), ma anche tanti casi di ricorsi verso rifiuti di permesso di soggiorno non hanno una sospensiva automatica, ma devono essere poi autorizzati dal tribunale. Questi periodi in cui gli stranieri che sono sul territorio non possono essere assunti comportano lavoro in nero e foraggiamento per la criminalità.
Il permesso per i minori comporta, da un lato, la possibilità del lavoro e quindi sicuramente un grande vantaggio, dall’altra parte, la manchevolezza di questo istituto è che non lo consente durante la durata della procedura. Il che significa che se io presento un ricorso domani è presumibile che questo sarà deciso nel corso di diversi mesi successivi. Non è possibile regolarizzare momentaneamente la posizione dello straniero irregolare durante il corso di questi mesi. Il tribunale per i minorenni, parlo per Roma, spesso ha dei tempi abbastanza lunghi che arrivano a un anno di durata, lasciando una precarietà importante per i genitori o il parente del minore. Posso dire che sovente mi capitano casi in cui uno dei genitori fa questo tipo di richiesta per il permesso, mentre l’altro genitore di solito già lo ha. Quindi, in qualche modo riescono ad arrivare ad una sorta di equilibrio in cui uno dei due genitori lavora e l’altro o fa dei lavoretti in nero oppure sta a casa, aspettando l’esito del tribunale.
Sarebbe bene autorizzare la possibilità di accedere ad attività lavorative durante il periodo di durata del processo o accorciarne sensibilmente i tempi in maniera certa. Questo sicuramente farebbe uscire più facilmente dal purgatorio queste situazioni che ci sono e non sono sempre facili.
Fra le allegazioni che di solito vengono predilette all’interno di questi ricorsi c’è tutto ciò che può essere documentazione medica del minore. Ricordiamo che lo sviluppo che interessa al tribunale per i minorenni è sempre quello del minore e non è mai quello dei genitori. Al tribunale inoltre interessa tutto ciò che sono gli elementi di integrazione del minore stesso, quindi certificati scolastici, piuttosto che adesioni a manifestazioni sportive o comunque di socialità svolte insieme ad altri compagni e coetanei. Quindi, tutto ciò che in qualche modo fa presagire che la sparizione di un genitore o l’allontanamento del minore da una condizione di stabilità potrebbe in qualche modo comprometterne la crescita e il benessere psicofisico.
Queste sono le interpretazioni più estensive. Ultimamente alcuni tribunali sono riandati invece ante 2010, quindi andando a restringere in qualche modo l’istituto, vuoi perché si sono cominciati, come si può immaginare, a presentare ricorsi anche in casi in cui vi erano veramente poco questi requisiti. Ad esempio, il nucleo familiare di stranieri che arriva in Italia e nel corso di tre, quattro, cinque mesi presenta una domanda di questo tipo. E’ chiaro che in questi casi possono mancare i requisiti minimi. La sovrabbondanza di utilizzo di questo tipo strumento ha portato in alcuni casi i tribunali a fare un passetto indietro con conseguenze negative e mai immaginabili. In tanti altri
casi, laddove invece si può dimostrare un periodo di permanenza media e anche in presenza di patologie non particolarmente gravi del minore, può essere comunque tenuto conto di questa interpretazione estensiva di benessere psicofisico come possibilità di permanere sul territorio insieme ai familiari ed a figure piu vicine.
AS: Grazie Marco. Magari nei prossimi incontri cercheremo di affrontare quelle altre fattispecie a cui facevamo riferimento all’inizio, in maniera tale da cercare di fare un quadro complessivo di tutto rispetto a tutte queste problematiche. Purtroppo le fattispecie particolari esistono perché alla base di tutto c’è il fatto che in Italia è praticamente impossibile entrare con un permesso di soggiorno di lavoro. Non c’è una via normale per poter entrare in Italia, d’altra parte come nel resto d’Europa. I confini sono stati blindati.
MG: Ci sono solo dei flussi per i lavoratori stagionali in agricoltura, con numeri molto contenuti.
AS: Fino a qualche anno fa c’era questo canale che non era solo stagionale, per cui le persone non dovevano sottoporsi a tutta una serie di strani percorsi, ricorrere a dei cavilli, cercare di rientrare in soluzioni molto particolari. C’era un percorso che era un po’ più chiaro ed aperto, anche se con tutta una serie di vincoli e obblighi. Da un pò di anni questo canale è stato chiuso e quindi o uno entra in maniera illegale oppure entra con il visto turistico e poi rimane dopo la scedenza, facendo dei lavoretti e cercando di beneficiare di queste aperture normative particolari. L’interpretazione della Corte di Cassazione del 2010 ha aperto delle opportunità per poter restare in Italia senza dover diventare per forza dei criminali dal punto di vista della definizione giuridica e quindi dover essere espulsi o sottoposti a qualche forma di confinamento in attesa di espulsione.