CAUSE E CONSEGUENZE DEL NON AVERE UNA CASA
In Italia sono 50.724 le persone senza fissa dimora “portatrici di un disagio complesso che non si esaurisce alla sola sfera dei bisogni primari ma che investe l’intera sfera delle necessità e delle aspettative della persona” (fioPDS- Federazione italiana per le persone senza dimora)
Il disagio di chi non ha una casa riguarda infatti non soltanto la vita in strada e l’assenza della realtà domestica fisica e tangibile, ma anche la più profonda e complessa mancanza di un ambiente di vita, di un luogo di sviluppo delle relazioni affettive, di progetti, di interessi e della cura di sé.
La persona senza dimora è portatrice di bisogni urgenti e primari che, laddove non soddisfatti, possono comportare gravi rischi e compromettere in modo irreversibile la sopravvivenza. Ne sono esempio i tassi di malattia più elevati, la speranza di vita più bassa e i maggiori tassi di incarcerazione.
La prima causa di assenza di fissa dimora è la perdita del lavoro (49.2% dei casi), mentre la seconda è la presenza di problemi legati alle relazioni familiari, separazione o divorzio (15.2%), e la terza è la condizione di irregolarità dovuta a un vissuto migratorio (12.9%).
IL CONCETTO DI PIENA ABITABILITA’
La condizione di homelessness non si lega a un’interpretazione meramente fisica dello spazio ma, come emerge dalla definizione internazionale data da ETHOS (European Typology on Homelessness and Housing Exclusion), deve tenere in considerazione anche fattori sociali e giuridici che costituiscono la condizione di piena abitabilità: il diritto all’esclusività su uno spazio abitativo adeguato (fisico); la possibilità di mantenere relazioni soddisfacenti in quello spazio (sociale); il pieno godimento dello spazio dato da un titolo legale (giuridica)
L’assenza di queste tre condizioni identifica un problema abitativo e permette di individuare quattro categorie di grave esclusione abitativa: persone senza tetto, persone prive di una casa, persone che vivono in condizioni di insicurezza abitativa, persone che vivono in condizioni abitative inadeguate.
ESSERE UN SENZA FISSA DIMORA NELLA CAPITALE
A Roma nel 2015 erano circa 8000 le persone senza fissa dimora rilevate dall’ISTAT, più del 15% del totale nazionale. Un numero certamente al ribasso se si considera che non comprende le migliaia di persone che vivono presso insediamenti informali o edifici occupati.
Secondo i dati riportati dalla Caritas nel Rapporto sulla povertà a Roma del 2019 si parla addirittura di 16.000 persone che vivono per strada o in insediamenti precari. Benché non ci siano indagini complessive più recenti in merito (e in questo non aiutano i frequenti sgomberi che disperdono le persone e rendono difficili le stime), la situazione è senza dubbio peggiorata con la crisi pandemica e l’incremento delle cosiddette nuove povertà. Le norme di distanziamento sociale hanno messo in seria difficoltà i centri di accoglienza per i senza tetto e la regolarità dei servizi offerti, causando il riversamento di queste persone su accampamenti di fortuna.
Secondo un’indagine a campione, a Roma l’86% dei senza fissa dimora è di sesso maschile, ha un’età media di 51 anni e nella maggior parte dei casi ha passato almeno 2 anni in strada. Più della metà sono persone celibi o nubili (56,4%), quindi prive di reti sociali di supporto. Solo il 52,8% ha dormito almeno una volta nel corso di una settimana in centri di accoglienza, il che significa che il restante 47,2% si è dovuto accontentare di ripari di fortuna esterni.
Per quel che riguarda la cittadinanza, il 43.7% dei senza fissa dimora è italiano, il 35.5% extracomunitario, mentre il 20.8% è cittadino europeo. Tra gli stranieri, il 73.8% è stato in Italia per almeno 10 anni.
Molto diffuse sono inoltre le condizioni di fragilità fisica e le disabilità, che riducono le capacità lavorative del 27,1% delle persone senza fissa dimora.
Allo stesso tempo, una quota significativa delle persone senza fissa dimora risulta lavorativamente attiva (74.1%): il 33.6% ha attualmente un lavoro e il 40.5% è in cerca di un’occupazione. Tra coloro che non lavorano, il 48.3% è disoccupato da oltre 5 anni. Solo il 39.2% dichiara di aver lavorato sempre o quasi sempre con un contratto regolare. Questo mette in evidenza le difficoltà nella reintegrazione lavorativa incontrate dalle persone senza dimora, oltre alla mancanza di protezione sociale dovuta all’aver svolto perlopiù lavori precari e informali.
A dimostrazione del fatto che essere senza fissa dimora implica non avere accesso a servizi che rispondono a esigenze basilari, sappiamo che solo il 63.2% dei senza tetto con problemi di salute ha potuto recarsi dal medico di base a causa di difficoltà inerenti l’ottenimento dell’iscrizione anagrafica (dati fioPDS).
LA RISPOSTA ISTITUZIONALE E IL TERZO SETTORE
Nel contesto romano, la risposta istituzionale alla problematica abitativa è aggravata da tre problematiche strutturali: èormai dagli anni ’70 che non si investe più in alloggi popolari; i costi di alloggi privati (acquisto e affitto) sono molto elevati e in costante aumento; l’iter burocratico per accedere a case popolari e ad altri servizi abitativi è fortemente complesso e selettivo. In generale, l’approccio istituzionale è sempre più incentrato su una narrazione emergenziale, nella quale il bisogno di pulizia e di sicurezza giustificano gli sgomberi e la criminalizzazione di chi vive per strada. In ultimo, le risorse a disposizione delle reti di intervento sociale non sono sufficienti a garantire servizi continuativi e integrati per una categoria di persone in costante aumento.
In questo complesso contesto si inserisce il lavoro di FOCUS Casa dei diritti sociali. Lo Sportello di Via Giolittigarantisce infatti, da più di trent’anni, servizi basilari per persone in condizione di fragilità socio-economica, senza fissa dimora, migranti vulnerabili.
Per approfondire sui nostri progetti in corso:
https://www.dirittisociali.org/progetti/roma-esquilino-dallemergenza-sociale-ai-diritti/