Domenica 16 luglio l’Unione europea ha siglato un Memorandum di intesa con la Tunisia. La gestione delle migrazioni è uno dei cinque pilastri su cui verte l’accordo: l’Ue si impegna a fornire ulteriori 100 milioni di euro alla Tunisia per rafforzare la gestione delle frontiere, le operazioni di ricerca e soccorso in mare e le misure “anti-traffico” al fine di ridurre il numero degli arrivi dal paese. La retorica securitaria e del contrasto alle “cause profonde della migrazione” agitata dalla Commissione maschera a stento l’intenzione di bloccare ogni forma di mobilità dalla Tunisia all’Europa, con la conseguenza di impedire a chi cerca protezione di accedere al diritto di asilo.
A partire dall’inizio dell’anno sono 44.151 le persone arrivate in Italia dalla Tunisia e solo una parte di queste è di nazionalità tunisina: si tratta infatti, in maniera crescente, di persone provenienti dall’Africa occidentale che, nel paese nordafricano, vivono una situazione di crescente razzismo e violenza in primo luogo ad opera delle istituzioni.
La firma dell’accordo arriva a convalidare l’operato delle autorità tunisine degli ultimi mesi. Il razzismo istituzionale, che attinge anche alle teorie della cd sostituzione etnica, si è concretizzato in gravi violazioni dei diritti fondamentali da parte delle autorità:
La firma del Memorandum con la Tunisia non solo ratifica la complicità dell’Unione europea con le violente politiche tunisine nei confronti delle persone migranti, ma avviene in totale spregio delle norme e dei principi che – quantomeno sulla carta – vincolano la stessa Ue.
Nelle condizioni fin qui descritte, come può la Tunisia essere considerato un paese sicuro per i cittadini terzi o anche per i propri cittadini? Non si vede nemmeno come possa essere ritenuto un luogo “sicuro” per lo sbarco delle persone soccorse in mare, in particolare per i cittadini di altri Paesi.
Organizzare, supportare e finanziare l’intercettazione sistematica di chi fugge via mare – questo il chiaro obiettivo del rafforzamento della Guardia costiera tunisina stabilito nell’accordo – significa costringere le persone bloccate in mare a rientrare in un Paese che, oltre ad essere attraversato dalla violenza razzista ed essere caratterizzato per una svolta pesantemente autoritaria, è privo di un sistema in grado di garantire la tutela dei diritti e la protezione dei cittadini stranieri presenti sul territorio.
Ci sembra in questo senso fondamentale una presa di distanza da parte delle organizzazioni internazionali come OIM e UNHCR, affinché non si facciano strumento di legittimazione e di produzione, in ultima analisi, delle violazioni che deriveranno dall’implementazione del Memorandum in modo simile a quanto accade in Libia. La loro presenza e attività in Tunisia non può essere considerata una reale garanzia di protezione per le/i migranti né può ovviare alla palese violazione del diritto di asilo che rappresenta la politica di blocco implementata dall’accordo. Meccanismi come il reinsediamento o i corridoi umanitari hanno dimostrato in Libia la loro insufficienza. Inoltre, hanno comportato uno slittamento dal piano dei diritti al piano della concessione a pochi della possibilità di lasciare il territorio di uno Stato, incluso il proprio, per cercare protezione. Allo stesso modo lo strumento del rimpatrio volontario, nelle modalità con cui è attuato, presenta profili di grave illegittimità e costituisce una forma di espulsione mascherata.
Con le dovute differenze, la dinamica che si sta sviluppando sembra avere inquietanti tratti comuni con il modello libico tanto nella modalità attuativa quanto nelle conseguenze. Quanto alla prima, si tratta dell’ennesimo accordo tra attori del diritto internazionale che viene pericolosamente sottratto al rispetto delle regole sui trattati e dei sistemi costituzionali interni: nessuna pubblicità nel corso delle trattative, nessun controllo, nessuna ratifica da parte degli organi rappresentativi. Quanto alle conseguenze, anche questo accordo ha come effetto la messa a sistema della violenza indiscriminata come strumento di deterrenza alla mobilità, un crescente ruolo di una Guardia costiera spregiudicata, un sistematico e progressivo svuotamento del diritto di asilo attraverso strumenti umanitari che non hanno un reale impatto in termini di diritti.
A fronte di questa situazione si chiede