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La parola all'avvocato

Diffamazione via web: il punto su normativa e giurisprudenza

Sul tema della diffamazione su internet si è ormai consolidata una normativa e una giurisprudenza. Insieme con l’avvocato Marco Galdieri ricostruiamo il quadro delle leggi in vigore nel nostro Paese e cerchiamo di capire come fare per difendere i propri diritti e quali sono le ultime novità.

 

Alessandro Scassellati (AS): In questa nuova Pillola con l’avvocato Marco Galdieri di Casa dei Diritti Sociali parliamo di un tema che è diventato di attualità, la diffamazione attraverso il web/internet. Oggi, quasi tutti usiamo internet e sappiamo bene che nelle chat le cose che le persone scrivono sono a volte aggressive e in alcuni casi arrivano al punto di diffamare un’altra persona, insultandola o dicendo cose magari non vere. Quindi, questo è un tema che potenzialmente ci riguarda tutti. Un tema che ha una sua complessità normativa e giurisprudenziale. In questo periodo, Marco è stato impegnato in alcune cause proprio su questo tema, per cui gli chiedo di farci il quadro della situazione, di spiegarci le maggiori problematiche relative al riconoscimento del reato di diffamazione.

 

Marco Galdieri (MG): Il reato diffamazione è previsto dall’articolo 595 del codice penale e ha delle ripercussioni non solo in ambito penale, ma anche in ambito civile, perché spesso e volentieri una volta che si è subita la diffamazione si tende ad agire nelle sedi penali per far punire il diffamatore e anche in sede civile per avere un risarcimento dei danni per l’offesa dell’onorabilità di una persone. La reputazione di una persona è il bene giuridico tutelato tramite degli strumenti sia del diritto penale sia del diritto civile.

E’ una pratica che trova diversi risvolti interessanti con il web, perché si è estesa la comunicazione a soggetti potenzialmente indefiniti, prospettando degli scenari che non facevano parte inizialmente della struttura del codice penale. Perché era previsto inizialmente che si potesse offendere la reputazione della persona davanti a più persone, ossia che ci sia la presenza di altri soggetti che in qualche modo possano avere una percezione negativa del soggetto verso il quale è rivolta l’accusa. Se prima dell’avvento della rete e delle nuove tecnologie questo era possibile o mediante scritti a mezzo stampa o tramite la cartellonistica oppure magari in riunioni in cui erano presenti più persone, attualmente questo può avvenire tramite i vari social o piuttosto i blog o i siti internet. Oggi, questa pratica è facilmente attuabile secondo indefiniti nuovi scenari che hanno delle conseguenze soprattutto da un punto di vista della competenza giurisdizionale.

Detto questo, la struttura della norma e quindi la struttura del reato sono fondamentalmente rimaste identiche, quindi da un lato c’è una condotta che è volta ad offendere l’altrui reputazione, un dolo generico per cui non c’è per forza un fine ulteriore, basta la volontà di voler offendere la persona, dall’altro lato occorre che ci sia la presenza di più soggetti senzienti che percepiscono questo tipo di offesa. Così si sviluppa il reato di diffamazione e viene punito con una pena maggiore chi perpetra questo reato a mezzo stampa o con altri mezzi similari, quindi appunto mediante la rete, il web e quant’altro, perché diventano indefiniti i soggetti che possono percepire l’offesa.

Un esempio classico è che se sono a tavola con altre otto persone e ne offendo una, facendo sentire la mia offesa alle altre 7, comunque sia siamo in un numero limitato di soggetti che è a piena conoscenza di quella che è la mia opinione offensiva, mentre invece se lo faccio sulla rete o sui giornali, i soggetti a cui io mi rivolgo sono indefiniti. Avendo uno strumento che è atto a raggiungere un numero indeterminato di persone, chiaramente aumenta anche la mia responsabilità su ciò che vi vado a scrivere.

Questa evoluzione della normativa ha portato una serie di evoluzioni giurisprudenziali. Gi aspetti che vanno sottolineati sono da un lato come va a collimarsi il reato di diffamazione rispetto a quello che poi è l’esercizio di un diritto. Facciamo l’esempio di un giornalista, ma anche di chi ha un blog o un sito in maniera professionale come un’associazione di consumatori. Spesso si trovano al limite di zone grigie fra il dover raccontare determinati fatti e il rischio che si creino alcune situazioni che possono essere interpretate come potenzialmente diffamatorie nei confronti di alcuni soggetti. Facciamo il caso del giornalista d’inchiesta che va a raccontare fatti scomodi e magari condotte scomode tenute da alcuni soggetti. Dove sta il limite fra la diffamazione e quello che è invece un esercizio della libertà di parola, della libertà di stampa e dell’esercizio di un diritto? Questo risiede nella possibilità scriminare il reato, di andare ad elidere l’antigiuridicità della condotta mediante la norma, l’articolo 51 del codice penale che definisce l’esercizio del diritto che in questo caso si va ad estrinsecare in due possibili diritti: da una parte il diritto di cronaca e di critica, dall’altra il diritto a mantenere intatta la nostra onorabilità, il nostro decoro, la nostra reputazione.

Questo significa che il legislatore pone un bilanciamento. C’è il diritto a raccontare o eventualmente anche a criticare, pensiamo al diritto di satira, per fare un altro esempio. Il bilanciamento deve essere in qualche modo tale da poter far sì che nessuno dei due diritti venga fondamentalmente leso. Laddove vadano ad uno scontro ci sono delle regole per poter capire quale prevale sull’altro, fra la libertà di stampa e di parola da una parte e la libertà di avere una reputazione pulita dall’altra. Ora, i tre criteri classici che vanno declinati nelle varie situazioni sono:

1. innanzitutto quello della rilevanza pubblica, come nel cao di un personaggio pubblico, per cui il danno potrebbe incidere o avere rilevanza nella collettività e quindi ci si può spingere un po’ oltre;

2. quello della veridicità, ossia della verifica delle fonti e quindi se c’è una sorta di attendibilità, di veridicità della notizia e questo lo si fa spesso e volentieri utilizzando innanzitutto delle formule dubitative, per cui finché non si è certi che siano state compiute determinate condotte che sono ritenute in qualche modo disdicevoli bisogna riuscire in qualche modo a calibrare il testo con costruzioni di frasi ipotetiche e mai dare per certo ciò che per certo non è;

3. infine il terzo elemento è quello della continenza ossia noi possiamo raccontare un fatto che ha una rilevanza pubblica, eventualmente anche con formule dubitative, bisogna sempre farlo con dei termini, con un lessico, non offensivo a priori, quindi utilizzando dei termini che possano essere ritenuti congrui rispetto al fatto.

Ora, se nella teoria tutto è semplice, nella pratica poi questo non lo è. Non tanto sul diritto di cronaca, ma soprattutto sul diritto di critica e sul diritto di satira, riuscire a capire quali sono le zone di grigio e quale debba prevalere fra i diritti in campo spesso è di non facile soluzione. Pertanto abbiamo diverse e numerose cause che vanno a tentare di capire quali siano i termini che possono essere utilizzati o meno. Ogni tanto si sente, anche da un punto di vista giornalistico, che secondo la cassazione una frase può essere utilizzata e un’altra frase no, lasciandoci anche interdetti spesso e volentieri, proprio perché il problema nasce da questo tipo di situazioni difficilmente bilanciabili. A volte sono stati posti in essere dei procedimenti penali perché si ritiene diffamatorio l’utilizzo di una frase nei confronti di un soggetto e si arriva poi magari anche ai giudici di legittimità, i quali a seconda del momento storico e del contesto vanno a verificare se una frase può essere utilizzata o meno all’interno di questo criterio della continenza.

Se da un punto di vista giornalistico ormai si è in qualche modo arrivati ad un vademecum, c’è sempre chi tenta di superare la linea di confine per aprire nuovi orizzonti, per farsi pubblicità, per essere più incisivo. Le ragioni possono essere molteplici. Quando si utilizzano altri mezzi come ad esempio facebook, instagram e i social in genere che sono alla portata di tutti, questo limite o questo criterio non viene utilizzato, quindi abbiamo profili dei “leoni da tastiera”, ossia soggetti che non si rendono conto che andando a pubblicare sulla bacheca un qualsiasi tipo di frase offensiva nei confronti di altro soggetto in realtà stanno proprio andando a costruire la fattispecie del reato di diffamazione, perché potenzialmente un testo o un video è visto da più soggetti e va a ledere l’onore di un altro soggetto, spesso e volentieri un perfetto sconosciuto. Per cui rispetto all’interesse pubblico manca la continenza perché leggiamo insulti anche gratuiti sul web, anche le fonti sono spesso inesistenti o chiaramente inattendibili. Nel momento in cui si scende di livello tutti i criteri vengono in qualche modo meno, perché un conto è fare una grande inchiesta e quindi avere delle fonti, delle ricerche e uno studio, mentre un altro è l’offesa gratuita. Quindi, attenzione perché ci troviamo di fronte a situazioni che sono tutte penalmente perseguibili. Poi, perché anche da un punto di vista civilistico possono portare ad un risarcimento del danno e quindi si può avere un esborso economico. Chi frequenta saltuariamente o non per professione il web non è a conoscenza di una serie di regole che invece devono essere seguite in maniera attenta.

Un altro aspetto abbastanza interessante che è stato ultimamente trattato e che è comunque frutto di sviluppi giurisprudenziali, riguarda la competenza territoriale, laddove si va a instaurare un procedimento penale. Ogni procedimento penale ha una sua competenza. Questo significa che una procura di un determinato distretto si occupa delle indagini e poi all’interno di quel distretto sarà il tribunale competente ad instaurare la causa. Ora, nel momento in cui noi andiamo a diffamare una persona abbiamo diverse situazioni fisiche: dove si va a perpetrare questo reato, ossia il luogo dove si trova la persona che sta compiendo il reato, il diffamatore, l’indagato o imputato e dall’altra parte c’è il soggetto che subisce questo reato, quindi la persona diffamata. Non è detto che si trovino nello stesso luogo. Peraltro bisogna anche dire che c’è il luogo dove il reato viene commesso. Ad esempio, sto caricando un articolo con un contenuto potenzialmente diffamatorio nei confronti di un soggetto e mi trovo a Roma, mentre il sito o il server si trova a Napoli e la persona diffamata si trova a Milano o a Torino. Quindi, abbiamo tre luoghi geografici diversi e tutti e tre potenzialmente utili per poter stabilire quale sia il foro competente a dover giudicare rispetto a questo reato.

Ora, gli sviluppi giurisprudenziali ultimi per quanto riguarda siti internet sono andati ad individuare il foro competente come il luogo o dove si è caricato il materiale o dove ha sede il sito oppure dove risiede l’imputato. Questo perché se precedentemente si riteneva che il luogo dovesse essere quello dove veniva percepita l’offesa, nel reato di diffamazione se da un lato il luogo della consumazione del reato si ha quando l’offesa di uno raggiunge più persone, da un punto di vista telematico ci sono su questo punto una serie di problemi, perché con un sito mediamente frequentato significa che nel momento in cui io carico un articolo già in quel momento, l’evento stesso del caricamento, questo diventa potenzialmente visibile a tutti quanti i potenziali fruitori e quindi diventa impossibile andare a comprendere quale dovrebbe essere un luogo dove si è effettivamente consumato il reato. Da questo punto di vista, viene in aiuto l’articolo 9 comma 2 del codice di procedura penale, il quale ci indica come possibile luogo per andare a radicare la competenza quello più semplice del domicilio/residenza di colui che ha commesso il reato e che ha posto in essere questa condotta. Questi sono gli ultimi sviluppi fra cui si segnalano la giurisprudenza nel 2021 della corte di cassazione che ha stabilito che in questi casi la procura, il distretto, il tribunale competente saranno quelle che fanno capo al luogo di domicilio dell’indagato/imputato.

Ad esempio, ad un’associazione consumatori può capitare spesso e volentieri di pestare i piedi ad altri soggetti, perché il suo compito è di andare a raccontare ciò che viene riferito da vari utenti consumatori, mettendo in fila tutti questi vari commenti per poi segnalare alle autorità competenti ciò che potrebbe essere, ad esempio, una pratica commerciale scorretta piuttosto che altri tipi di situazioni che possono incidere da un punto di vista sia civile che penale. Dall’altra parte, ci sono aziende società o legali rappresentanti che non si trovano d’accordo e che in alcuni casi reagiscono, andando a denunciare queste condotte come diffamatorie. Ci si trova a dover contemperare questi due diritti fondamentali di cui parlavo prima, il diritto di cronaca o di critica dell’associazione consumatori che ha fra i suoi fini istituzionali quello di tutelare il consumatore, andando anche a segnalare condotte potenzialmente lesive nei confronti degli stessi, e dall’altra parte ci sono le aziende che ritengono a loro volta di non aver posto in essere alcun tipo di condotta scorretta, aggressiva e quant’altro e che si trovano in difetto perché è stata fatta una pubblicità negativa e sono obbligate a reagire.

Andare a comprendere le linee di confine non è mai facile. L’importante è che le segnalazioni delle associazioni consumatori siano fatte nel rispetto delle regole. Quindi, che non si usino dei toni che vanno a prevaricare il diritto di cronaca o di critica che deve essere mantenuto, e che vengano sempre, almeno finché non c’è un accertamento definitivo delle autorità competenti, poste con frasi ipotetiche, con costruzioni che lasciano il margine del dubbio. Questo consente di ritenere che non si vada a ledere l’onorabilità e la reputazione di nessuno, ma si stia raccontando semplicemente ciò che potrebbe essere ritenuto eventualmente come una pratica commerciale scorretta che non sarà poi appannaggio delle associazioni consumatori, ma delle autorità competenti andare a decidere. Semplicemente si segnala a seguito di segnalazioni dei consumatori che una determinata azienda potrebbe aver messo in atto alcune condotte lesive. Queste sono formule che possono aiutare a svolgere comunque il proprio lavoro senza però andare a travalicare limiti che non devono essere superati per evitare che si ritorca contro con denunce di diffamazioni che possano spostare l’attenzione da quello che invece dovrebbe essere il nucleo centrale.

AS: E’ un tema che potenzialmente interessa tutti visto che ormai tutti siamo coinvolti in questa iper comunicazione legata al web. La credibilità e onorabilità delle persone o delle aziende è un elemento importante. Ad esempio, per un professionista come un avvocato la credibilità è tutto, per cui se viene messa in discussione è bene che venga messa in discussione su delle basi reali, concrete e non semplicemente per un moto di rabbia di qualcuno sull’onda emotiva.

MG: Il 90% dei potenziali reati di diffamazione probabilmente non arriva neanche nelle procure. In rete si legge un po’ di tutto e a parte i professionisti della comunicazione che sono maggiormente esposti, ma che hanno anche gli strumenti per poter evitare in buona parte di cacciarsi in determinati guai, siamo tutti su una barca senza avere le istruzioni per poterla portare avanti. Quindi, se ne leggono tantissimi di insulti che non hanno nessun tipo di attinenza con i principi che abbiamo detto della continenza, della rilevanza e della veridicità che non vengono segnalati. Però ci dovrà essere un’alfabetizzazione anche da questo punto di vista perché sennò poi perde di senso un po’ tutto, tant’è che la libertà di parola, di scrittura, di pensiero va esercitata, ma va esercitata con delle regole che dobbiamo darci altrimenti perde di senso e anche di utilità.

 

 

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