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La parola all'avvocato

I profughi dall’Ucraina e le regole per la protezione temporanea

L’accoglienza dei profughi ucraini in fuga da un “Paese sicuro” con una protezione temporanea

L’avvocato Marco Galdieri di Casa dei Diritti Sociali analizza la questione dei profughi e richiedenti asilo provenienti dall’Ucraina, un Paese che fino al 9 marzo scorso era considerato un “Paese sicuro”. Ora, siamo in attessa di un DPCM del governo che regoli la concessione della protezione temporanea

 

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo ad un nuovo appuntamento con l’avvocato Marco Galdiieri e oggi cerchiamo di parlare di un tema di stretta attualità che riguarda la normativa di riferimento per l’asilo politico e la protezione temporanea dei cittadini che stanno scappando dalla guerra in Ucraina. L’Italia aveva incluso nel 2019 l’Ucraina, insieme con altri Paesi, nell’elenco dei Paesi cosiddetti sicuri rispetto al tema della concessione dell’asilo politico a chi lo richiede. L’Ucraina veniva considerato un Paese sicuro e quindi i richiedenti asilo arrivati in Italia attraverso l’Ucraina erano soggetti a delle procedure differenti rispetto a quelli provenienti da altri Paesi considerati non sicuri. Nel frattempo l’Unione Europea (e quindi anche l’Italia) in questi giorni si sta muovendo e sta elaborando una nuova normativa sulla protezione temporanea dei cittadini ucraini che arrivano nell’Unione Europea. Presto il governo italiano dovrà recepire questa normativa. Con Marco parliamo di questo tema per cercare di capire quali sono le implicazioni concrete in termini di procedure di accoglienza e di effetti normativi.

Marco Galdieri (MC): L’argomento che ha una sua complessità e soprattutto una continua evoluzione, perché la decisione europea non è stata ancora recepita con DPCM, cosa che dovrebbe accadere nei prossimi giorni. Solo con il DPCM saremo in grado di comprendere quelle che saranno le normative di riferimento e di indirizzo. Quando sarà approvato faremo un approfondimento sul testo.

Al momento, siamo su un binario in piena corsa, ma ciò che intanto è interessante è andare a vedere come l’Ucraina sia stata fino al 9 marzo inserita tra la lista dei Paesi sicuri. La lista dei Paesi sicuri origina a seguito del decreto sicurezza introdotto con decreto legge 113 del 2018, convertito poi successivamente in legge con cui il cosiddetto “Decreto Salvini” nel 2019. Con questa misura si voleva andare a dirimere o ad accorciare le procedure di asilo politico nei confronti di alcuni Paesi che potevano essere ritenuti più sicuri degli altri e che quindi, a detta del legislatore del momento, non abbisognavano di una compiuta istruttoria come invece serviva nel caso degli altri Paesi. La lista comprendeva 13 Paesi, tra i quali ci sono Ucraina, Kosovo, Marocco, Tunisia, Bosnia Erzegovina, Ghana e Senegal. E’ una lista che è stata allora introdotta nel 2018/2019 perché tra il decreto legge e la conversione alla Camera, siamo arrivati nel 2019. Sempre nel 2019 era stato demandato al ministero degli Affari Esteri il compito di redigere questa lista.

Una lista che chiaramente non è stata redatta in maniera casuale, ma tramite l’ausilio del Comitato d’asilo nazionale, il quale a sua volta si è avvalso di pareri di altri Paesi dell’Unione Europea e di organizzazioni internazionali, quali a titolo esemplificativo l’UNHCR. Quindi, si è data rilevanza a quei Paesi che presuntivamente potevano garantire le medesime libertà costituzionali presenti in Italia.

Essere inseriti nella lista dei Paesi cosiddetti sicuri significa che le persone che provengono da quei Paesi, di fatto, vengo messi nella condizione di non poter ottenere un asilo politico in Italia. Questa normativa è andata a modificare il decreto legislativo 25/2008 relativamente alla procedura che si va ad instaurare, creando delle difficoltà maggiori per il richiedente asilo che proviene da un Paese inserito nella lista dei Paesi sicuri, perché in qualche modo viene invertito l’onere probatorio.

Nel caso di una domanda di asilo politico fatta da un cittadino di un qualsiasi Paese non inserito all’interno di questa lista, c’è sempre una presunzione di innocenza, fino a prova contraria, per quanto riguarda la possibilità di poter accedere a questo istituto. Le persone hanno diritto a questo status che possono ottenere mediante una fase istruttoria che è costituita da delle audizioni all’interno delle Commissioni territoriali che si occupano di valutare la fondatezza o meno delle dichiarazioni.

Invece, nel caso in cui si proviene da un cosiddetto Paese sicuro, l’istruttoria viene accorciata nella tempistica. C’è una cosiddetta procedura accelerata che è stata introdotta non solo per questo caso, ma anche per altri casi di frontiera. Le modifiche hanno riguardato, da una parte, una istruttoria più veloce, per cui si chiede alla Commissione di decidere in tempi più stretti e di motivare in maniera meno dettagliata, poiché è possibile far riferimento esclusivamente al fatto che il Paese di provenienza è inserito nella lista dei Paesi sicuri e far presente che il richiedente non ha rappresentato ulteriori elementi che possano andare a modificare questa sicurezza che si dà come è già appurata.

Per questo dico che c’è un’inversione dell’onere probatorio, perché non è detto che il cittadino poi non rappresenti magari un trattamento particolare ad personam, ma questo dovrà essere documentato e provato, con tutte le difficoltà che sappiamo essere tipiche di un’istruttoria di una domanda di asilo politico. Perché sappiamo che nella maggior parte dei casi chi scappa da un Paese in quanto ritenuto pericoloso, perché è perseguitato per mille motivi, spesso non ha la possibilità di fascicolare una serie di documenti e atti per provare la pericolosità a cui andava incontro e da cui sta fuggendo, per poi portarli in Italia. Se si scappa da un Paese si prendono le cose più necessarie al momento e poi al domani ci si pensa domani.

Quindi, l’onere della prova è già seriamente abbastanza complesso da provare e nel momento in cui si viene da un Paese sicuro, non solo si deve affrontare questa mancanza documentale o probatoria da parte del richiedente asilo, ma in più si affronta anche questa inversione dell’onere probatorio, per cui fondamentalmente lo si guarda, lo si ascolta già con l’idea che provenendo da un Paese sicuro, a meno che non sia lui a portarci un elemento probatorio forte, sicuramente la domanda sarà rigettata. Questo è il primo aspetto importante.

Il secondo aspetto avviene a seguito del rigetto della domanda da parte della Commissione, perché rispetto ad un diniego non si può poi ricorrere davanti al tribunale ordinario. Ora, è bene dire che sono tantissimi i casi che non vengono riconosciuti dalla Commissione e che invece poi ottengono un accoglimento nei tribunali vuoi perché magari ci sono nel frattempo il ricorrente è riuscito effettivamente, magari anche con l’ausilio di parenti e amici, a poter trovare qualche prova di ciò che sta dicendo, o perché in qualche modo si inseriscono ulteriori elementi di integrazione e di stabilità che fanno sì che si arrivi a istituti minori, ma comunque rilevanti, come la protezione speciale, la vecchia protezione umanitaria e via dicendo. In sede giudiziaria spesso vengono analizzati con occhi diversi i medesimi documenti che erano stati posti all’attenzione della Commissione territoriale e che non erano stati tenuti adeguatamente in conto.

In questo caso vigono due principi del ricorso che si fa davanti ai tribunali. Il primo è che è possibile fare ricorso entro 30 giorni da quando c’è stato un diniego. Il che significa che una persona straniera arrivata in italia e giudicata in maniera frettolosa, avrebbe almeno 30 giorni per potersi rivolgere all’associazione e trovare un legale che possa redigere il ricorso e depositarlo nei tempi. La seconda cosa è che una volta che viene depositato il ricorso, il rifiuto viene sospeso automaticamente. Questo è di un importanza notevolissima, perché quando il rifiuto viene sospeso, per lo straniero è già possibile richiedere il permesso di soggiorno temporaneo che gli permette sia di poter lavorare sia di potersi muovere all’interno del territorio italiano in assoluta tranquillità, avendo anche una iscrizione anagrafica, la cosiddetta residenza, con tutti i vantaggi che ne possono derivare sotto ogni profilo dal punto di vista delle cure mediche e dei vari sussidi.

Chi riceve invece un diniego proveniendo da un Paese inserito nella lista dei Paesi considerati sicuri non ha questi due vantaggi, perché la domanda viene considerata manifestamente infondata quando viene rigettata. Il che comporta che il ricorso non debba essere fatto in 30 giorni, ma in 15 giorni. Ora, la riduzione alla metà del tempo incide non poco per un soggetto che spesso non sa neanche della tempistica e a chi rivolgersi, significa che non ha materialmente la possibilità di andare in un’associazione, di trovare un avvocato immigrazionista che se ne possa occupare. Teniamo conto che già 30 giorni sono pochi per questi soggetti. Noi che ci occupiamo di immigrazione ci troviamo a lavorare a casi che non ci arrivano mai diciamo il giorno dopo che hanno ricevuto il diniego. Spesso ci arrivano dopo 15-20 giorni e quindi lavoriamo spesso con l’acqua alla gola o comunque sia in velocità. Questo perché, ripeto, non è detto che siano stati dotati immediatamente degli strumenti per poter andare a rintracciare un avvocato.

Se riduciamo da 30 a 15 giorni il tempo per il ricorso, le possibilità che si perda la possibilità proprio di fare ricorso, aumentano in modo esponenziale. Queste persone non riescono quasi mai ad arrivare davanti a un’associazione e davanti a un legale in tempo.

Dall’altra parte, non c’è l’automatica sospensione del provvedimento. Questo significa che bisognerà fare un’istanza apposita al tribunale che potrà essere accolta o meno sulla base degli elementi che saranno stati raccolti. Non sempre è detto che siano accolte queste istanze e questo comporta che finché non ci sarà un provvedimento del tribunale, lo straniero resterà irregolare sul territorio con la pratica possibilità di essere espulso in qualsiasi momento. Il che non incide favorevolmente nell’atteggiamento di un richiedente asilo che si trova braccato finché non si arriva ad un provvedimento del tribunale. La sospensiva spesso viene dopo qualche mese che è stato fatto il ricorso, quando è positivo.

Per questi motivi la lista dei Paesi sicuri viene spesso contestata da tante associazioni e tanti legali immigrazionisti. Di questa lista se ne è tornato a parlare ultimamente in maniera abbastanza importante proprio perché anche l’Ucraina era stata inserita. E’ chiaro che l’attuale situazione ha sicuramente spostato l’attenzione su questa necessità di farla uscire fuori dalla lista dei Paesi sicuri. Il 9 marzo è arrivato un provvedimento del ministero degli Affari Esteri che ha sospeso fino al 31 dicembre 2022 l’iscrizione dell’Ucraina dalla lista dei Paesi sicuri. Ora, già si è cominciato a dubitare della legittimità di questo atto, perché non è prevista da nessuna parte la possibilità di sospendere un Paese. Un Paese o fa parte dei Paesi sicuri oppure non ne fa parte. Questa è una valutazione che va fatta e che ha dei risvolti importanti, però parlare di sospensione sembrerebbe un atto che non trova alcun riferimento normativo.

In secondo luogo, si può e discutere anche sull’opportunità della sospensione fino alla fine dell’anno, al 31 dicembre 2022, perché giustamente si osserva come anche se dovessero concludersi oggi gli eventi bellici, cosa che al momento sembra peraltro abbastanza improbabile, gli effetti della guerra sul Paese richiederebbero un tempo molto più lungo per poter parlare di ricostruzione e di una situazione che si sia normalizzata. Sappiamo che le guerre una volta che cominciano non finiscono mai, neanche nel momento in cui viene firmato un trattato. Spesso e volentieri lasciano strascichi per dei periodi ulteriori. Quindi, c’è un po’ di miopia, per essere buoni, rispetto a questo provvedimento.

Allo stesso tempo, è stata invece introdotta, su richiesta del Consiglio Europeo, la possibilità di ottenere un permesso temporaneo, che viene concesso in situazioni straordinarie di emergenza, come è appunto quella attuale. A giorni dovrà essere emanato un DPCM di recepimento da parte del governo. In questo caso andremo poi a valutare quali saranno stati gli strumenti adottati dallo Stato italiano per consentire ai cittadini ucraini che vorranno venire sul nostro territorio di ottenere questo permesso.

Possiamo già dire che ha una durata non superiore a quella di un anno e che ad oggi non comporta nessun tipo di limite di spostamento del cittadino ucraino. Questo significa che, al contrario che per il richiedente asilo, un cittadino ucraino che si muove sullo spazio europeo può scegliere il quale Paese andare e rivolgere la propria domanda. Non è soltanto nel Paese di confine, ossia nel Paese di primo ingresso nella UE.

Ci sono già state una serie di problematiche che vedremo adesso come saranno risolte. Una di queste riguarda la questione se possano accedere a questa protezione temporanea soltanto coloro che si trovavano sul territorio ucraino alla data del 24 febbraio, così come sembrerebbe, oppure se non spostare questa data anche a ritroso, perché chi non era in Ucraina il 24 febbraio e volesse oggi tornare non potrebbe farlo per ovvi motivi.

L’altra questione riguarda l’estensione anche alle persone che avevano dei permessi di soggiorno temporanei e quindi, ad esempio, a chi aveva un permesso di soggiorno di studio o per altre motivazioni. Qui, ci riferiamo non solamente ai cittadini ucraini, ma anche agli apolidi che abbiano avuto come ultima cittadinanza quella ucraina e a chi si trovava e trova all’interno dello Stato ucraino, ma proveniente da Paesi terzi titolati di protezione di asilo politico o comunque di una protezione nazionale equipollente. Pertanto, le persone che potrebbero accedere potrebbero essere limitate, però adesso vediamo come si andrà a posizionare questo DPCM sul piano normativo.

Sicuramente, dovremo capire gli aspetti critici che non mancheranno. Dovremo valutare gli aspetti più vulnerabili per dire come migliorare la legge e per comprendere quali effetti pratici si avranno dalla sospensione dell’Ucraina dalla lista dei Paesi sicuri, perché anche questo potrebbe essere un modo per fare rientrare in qualche modo ciò che non è entrato come protezione temporanea, almeno come protezione sussidiaria o di altra natura.

La questione è quindi sicuramente molto in movimento, così come i fatti che stanno accadendo quest’oggi. Sarebbe interessante anche fare un focus su ciò che era accaduto nel 2019 da un punto di vista legislativo e che ci stiamo portando avanti con gli effetti che stiamo vedendo.

AS: Grazie Marco. Cercheremo di tornare su questo tema non appena ci sarà questo DPCM di recepimento delle decisioni prese dal Consiglio Europeo, in maniera tale da capire effettivamente quali saranno le procedure e quindi tutto il lavoro che va fatto per cercare di fare in modo che questi cittadini ucraini che stanno fuggendo da una guerra vengano accolti nel nostro Paese con uno status giuridico adeguato, che consenta loro, se vogliono, di restare e di lavorare sul nostro territorio.

 

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