di Alessandro Scassellati
Le imprese globali del mondo digitale americane, europee e cinesi – come Google/Alphabet, Facebook, Amazon, AliBaba, Tencent, JingDong, Baidu, NetEase, Spotify, Airbnb, Uber, BlaBlaCar, Lufax, Lyft, Deliveroo, Foodora, etc. – hanno via via acquisito un potere crescente sull’economia reale perché gestiscono cavi (terrestri e sottomarini) e piattaforme che stoccano e veicolano flussi di dati, comunicazioni, merci, servizi, innovazioni, app che amplificano e accellerano:
Le nuove tecnologie digitali “abilitano” l’innovazione di prodotto come nel caso dello smartphone che da solo ha rimpiazzato e reso obsoleti una serie di prodotti tradizionali – telefoni fissi, orologi, navigatori, macchine fotografiche, telecamere, televisioni, calcolatrici, registratori, torce, apparecchi musicali, giornali, riviste, libri, sveglie, radio e un lungo elenco di altri beni di consumo -, ma ha fatto nascere una nuova smartphone economy fatta da imprese che offrono una serie pressoché infinita di servizi attraverso delle applicazioni.
Inoltre, le nuove tecnologie digitali “abilitano” anche il ridisegno di processi, strutture e meccanismi organizzativi e gestionali, rendendo possibili nuovi rapporti tra il top management e i responsabili funzionali, nonché nuove forme sia di subordinazione e controllo del lavoro sia di lavoro collaborativo, una volta impensabili.
L’utilizzo di tecnologie digitali e biometriche come i sensori, microchip impiantati sottopelle, braccialetti elettronici, sistemi di posizionamento globale (GPS), identificazione a radiofrequenza e codici a barre consentono di misurare, monitorare e sorvegliare continuamente la performance deilavoratori in modi sempre più intrusivi (spesso minando i diritti dei lavoratori alla privacy e alla parità di trattamento) e permettono di estendere le tecniche della lean production e del just-in-time alla maggior parte dei settori dell’economia. Nell’ufficio o nella fabbrica intelligente si richiede al dipendente/collaboratore di contribuire alla progettazione della prestazione, che attraverso continui adattamenti (che conseguono alla condivisione delle esperienze), produce nuovi obiettivi e risultati.
Il lavoratore deve diventare un soggetto proattivo, una trasformazione che incide inevitabilmente sulla disciplina delle mansioni, sul controllo della prestazione, sull’orario. Gli obiettivi fissati dal management e la loro valutazione sono fortemente individualizzati e implicano apertamente un sempre più intenso empowerment e coinvolgimento soggettivo, emozionale, affettivo dei lavoratori, in un ambiente di sistematica concorrenza. Alcuni lavoratori cinesi (conducenti di treni ad alta velocità e operai di fabbrica) sono stati dotati di cappelli con sensori che rilevano le loro onde cerebrali per capire se stanno perdendo la concentrazione e se sono sotto stress, affaticati o arrabbiati durante il lavoro. Ai lavoratori si chiede di essere “hungry” e “foolish”, ambiziosi e appassionati, di essere “lavoratori imprenditivi”, di non essere mai appagati, di sapersi autorganizzare il lavoro, di dimostrare il proprio talento, di impegnarsi a fondo e di stupire il management.
Le tecnologie digitali, infine, con il loro potere di disintermediazione e con tutta la portata di convincimento di offrire vantaggi al cliente-utente-consumatore finale, stanno massicciamente sostituendo o almeno parzialmente automatizzando il lavoro:
Tecnologie radicalmente innovative come l’intelligenza artificiale, il cognitive computing, e l’Internet of things (“l’Internet delle cose”) – che sarà pienamente abilitato dalla nuova piattaforma 5G, la quinta generazione della comunicazione mobile -, neo mantra che promette nuovi business (la stima è che possa valere 14,2 trilioni di dollari entro il 2023), connettendo tra loro oggetti in modo da mettere a fattor comune informazioni sul loro uso, o la blockchain di bitcoin (un sistema di verifica aperto che rende possibile fare transazioni, scambio di titoli e azioni, senza intermediazioni e regolamentazioni bancarie né controlli statali, pagando con la criptovaluta bitcoin), che sta trasformando profondamente il mondo della finanza (generando anche nuove enormi bolle speculative e truffe a danno dei risparmiatori), hanno un potenziale enorme nell’aiutare le persone a lavorare meglio, ma anche nel distruggere posti di lavoro tradizionali.
“Internet of things” sta prendendo piede da anni, ma la rivoluzione sta per subire una forte accelerazione. Entro il 2035 il mondo potrebbe avere un trilione di computer collegati tra loro, inseriti in tutto, dai vestiti alle mucche. Ciò porterà guadagni individualmente piccoli, ma che saranno notevoli per tutta l’economia.
Man mano che Internet diventerà onnipresente, sempre più aziende si comporteranno come imprese tecnologiche, andando a rafforzare quello che i critici chiamano “capitalismo della sorveglianza”. In questo percorso, si calcola che oltre il 40% del totale dei posti di lavoro attuali potrebbero venire eliminati. Le previsioni, anche sulle tempistiche, variano di analisi in analisi, ma è evidente che la sostituzione dell’uomo non è una questione di se, ma di quando. La novità principale di queste innovazioni è che le mansioni sostituite o automatizzate sono quelle ad elevato contenuto specialistico (mansioni di amministrazione, raccolta e gestione dati), che tradizionalmente appartenevano al ceto medio e al mondo delle professioni. La “quarta rivoluzione industriale” è destinata a colpire soprattutto le sicurezze della classe media e a cambiare i modelli di business, la cultura e la stessa identità delle aziende.
A partire dai primi anni ’80, sono emersi settori di produzione interamente nuovi, nuovi modi di fornire servizi finanziari, nuovi mercati e soprattutto si sono molto accelerati i tassi di innovazione commerciale, tecnologica ed organizzativa, così come lo scambio e il consumo. Buona parte di questa accelerazione è stata dovuta al travolgente sviluppo proprio dell’industria digitale nata con la fine della Guerra Fredda. Quando alla fine del 1986 Reagan e Gorbačëv s’incontrarono ad Helsinki per poi ratificare l’anno seguente l’Accordo di Washington sulla riduzione strategica degli armamenti nucleari, con una direttiva il presidente americano convertì la rete Arpanet – frutto di un progetto pubblico avviato nel 1969 dall’agenzia del Dipartimento della Difesa ARPA (Advanced Research Projects Agency, nata nel 1957, poco dopo il lancio dello Sputnik sovietico, per colmare il ritardo tecnologico che gli USA avevano mostrato nei confronti dei rivali) per connettere vari laboratori di ricerca e dipartimenti governativi – da strumento militare in quello commerciale di Internet.
Dal punto di vista capitalistico, l’industria digitale ha il pregio di realizzare “prodotti del pensiero” immateriali (algoritmi, programmi software, immagini, videogames, video, musica, etc.) che hanno tempi di turnover della produzione e del consumo estremamente ridotti (con una vita media che è anche al di sotto dei 12 mesi) o addirittura istantanei, come nel caso dell’informazione, delle analisi dei dati o dei contenuti dei social network, a differenza dei settori che producono beni materiali, aventi tutti tempi di turnover di produzione e consumo di una durata sostanziale pluriennale (nonostante l’obsolescenza programmata di molti prodotti industriali di consumo). L’affermazione del mondo digitale ha portato ad un più rapido cambiamento (volatilità e effimeralità) delle mode e della produzione culturale (idee, valori, ideologie e pratiche), all’insegna dell’eclettismo e del sincretismo, con una loro trasformazione in merci per il consumo di massa, non più solo d’élite, in grado di orientare gli stili di vita di segmenti sempre più ampi della popolazione mondiale.
Sistemi digitali sempre più sofisticati consentono il flusso istantaneo della comunicazione e informazione, così come razionalizzazioni nelle tecniche e le riduzioni dei costi di trasporto e distribuzione (packaging, gestione digitale del magazzino e delle spedizioni/consegne, containerizzazione, etc.) hanno consentito di far circolare con maggiore velocità le merci attraverso il sistema di mercato. Lo sviluppo della comunicazione istantanea attraverso la rete satellitare e digitale e la riduzione dei costi di trasporto hanno ridotto e compresso l’orizzonte temporale delle decisioni private e pubbliche e reso sempre più possibile la loro immediata diffusione nello spazio globale.
Il denaro di plastica (bancomat e carta di credito) e la banca digitale (internet banking, app per gli smartphone, denaro elettronico) sono state alcune delle innovazioni che hanno aumentato la velocità del flusso inverso del denaro. I servizi e i mercati finanziari (aiutati dalla digitalizzazione degli scambi) si sono anch’essi velocizzati, rendendo le 24 ore un periodo di tempo veramente lungo nei mercati azionari e finanziari globali. Sul piano della produzione di merci, il principale effetto di questa accelerazione generale è stato quello di enfatizzare i valori e le virtù dell’istantaneità e dell’”usa e getta” (creando un gigantesco problema ambientale legato alla gestione, smaltimento e riciclo dei rifiuti) e incarnandosi nella capacità di gettare via senza rimpianti e ripensamenti anche valori, stili di vita, rapporti stabili e affezionamenti a cose, edifici, luoghi e persone, ossia in quella che Zygmunt Bauman e Papa Francesco hanno denunciato come la “cultura dello scarto”. Così, anche le persone sono prima ridotte a “risorse”, cioè a strumenti per il profitto, poi trasformate in “esuberi” del tutto inutili e, infine, in “scarti”.